La maggior parte delle persone afferma di aver provato “ansia” almeno una volta nella vita e, quando si rivolgono ad uno psicologo, spesso portano come problema quello relativo all’ansia. Nonostante la grande fama del termine, non tutte le forme di ansia sono uguali e non tutte sono patologiche.
L’ansia deriva dal sistema emotivo-fisiologico della paura. Mentre la paura segnala un pericolo attuale, preparando l’organismo a reagire per proteggersi, l’ansia di solito si rivolge al futuro, a situazioni percepite come minacciose che non si sono ancora realizzate (funzione “preventiva”).
Mentre anche gli animali provano paura (sia i rettili che i mammiferi), solo gli esser umani vivono l’ansia, in quanto questa condizione implica la presenza di capacità cognitive complesse, come la possibilità di prevedere le conseguenze delle azioni e fare ipotesi sul futuro. In tale processo è fondamentale il modo in cui la persona valuta gli eventi.
Di solito, appaiono come minacciosi (ansiogeni) gli eventi percepiti come imprevedibili, incontrollabili o che potrebbero farci approdare in una condizione poco conosciuta e difficile da immaginare.
A volte l’ansia può essere utile. La cosiddetta “ansia segnale”, un affetto che dice: “alt! questa situazione in passato si è rivelata pericolosa”, ne è un esempio. Quando la persona riesce a tollerarla, cioè a provarla senza doverla subito eliminare, avrà un grande vantaggio perché potrà affrontare preoccupazioni e condizioni di vita in modo costruttivo, cogliendo il messaggio utile contenuto nella risposta ansiosa.
La capacità di tollerare l’ansia aiuta le persone in molte circostanze; per esempio, nelle situazioni che richiedono una performance (una gara, un esame), livelli intermedi di attivazione ansiosa, se ben tollerati, possono addirittura migliorare la prestazione.
A rendere problematica l’ansia è la natura più o meno reale della situazione temuta, l’intensità dell’angoscia, la disfunzionalità del modo con cui le persone la affrontano e la compromissione del funzionamento sociale e lavorativo, cioè quanta parte della vita quotidiana viene fagocitata dai pensieri ansiosi. L’angoscia eccessiva può infatti interferire coi processi cognitivi e relazionali.
Le persone in preda all’ansia possono sentirsi distratte, confuse, possono esasperare il proprio bisogno di rassicurazioni o accusare insistentemente gli altri, sentirsi oppresse o soffocate nelle relazioni, oscillando fra avvicinamento e allontanamento dai propri cari. Inoltre, essendo parte del sistema della paura, l’ansia può dare luogo a sensazioni corporee come mani sudate, battito del cuore accelerato, urgenza di mingere o defecare, difficoltà respiratorie, tensione muscolare, cerchio alla testa, e via dicendo, tutte sensazioni sgradevoli che, in mancanza di un’azione efficace (per risolvere il problema), sembrano sofferenze inutili.
Le persone possono provare ansia per tematiche diverse. Alcuni temono di trasgredire i propri valori morali e le eventuali conseguenze (angoscia morale). Altri provano angosce riguardanti il corpo e la perdita della salute (ansia di malattia, o ipocondria). Altri ancora, temono di doversi separare o di essere abbandonati da una persona che amano e da cui dipendono (angoscia di separazione). Certi individui, invece, provano paure irrazionali di poter danneggiare le persone che amano, o si sentono costantemente al centro di complotti e intenzioni malevole da parte di altri nei loro confronti (angoscia persecutoria). Esistono, poi, delle forme di ansia che non si riferiscono a temi specifici, ma riguardano la sicurezza complessiva della propria organizzazione mentale, come l’“angoscia di annichilimento”, ossia il terrore di rimanere catastroficamente travolti da una situazione, o di sentirsi invasi e distrutti da una persona o situazione.
I sistemi diagnostici internazionali (come il DSM-5, Manuale Diagnostico e Statistico della Malattia Mentale, 5° edizione), classificano diverse sindromi ansiose, ognuna caratterizzata da un tema attivante e specifici modi di reagirvi. Comunque, alla base di tutti i disturbi d’ansia vi è la convinzione (spesso inconscia) che, nel caso in cui si fosse esposti alla personale situazione-stimolo (ciò che spaventa la persona), si proverebbe un’emozione così intensa e insopportabile, da poter impazzire o morire.
Certe persone riferiscono di non sapere da cosa deriva il proprio stato ansioso, che percepiscono come un malessere fisico apparentemente immotivato. Talvolta, traumi ed esperienze familiari sfavorevoli portano i bambini a subire un deragliamento nello sviluppo delle competenze emotive, con uno scollamento fra gli aspetti somatici, cognitivi e affettivi dell’esperienza.
In questi casi le persone possono sentirsi molto angosciate, senza però riuscire a mettere a fuoco i significati soggettivi o i ricordi espliciti collegati. A volte, l’impossibilità di accedere al “significato” dell’ansia dipende dal fatto che i processi psicologici che l’hanno generata sono per lo più inconsapevoli e lontani dal registro linguistico, come accade nei processi di condizionamento.
Gli interventi psicologici per trattare i disturbi d’ansia possono prevedere un focus centrato sulla gestione del sintomo, sul recupero del senso di efficacia e benessere, insieme all’obiettivo di fare interagire meglio le diverse parti dell’esperienza frammentata, connettere gli affetti ai pensieri e agli stati somatici, modificare le rappresentazioni di sé e degli altri che, talvolta, sostengono le manifestazioni patologiche.
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