Comunicazione e Relazione: una combinazione inscindibile
“Ai bambini bisogna dire sempre la verità anche quando è brutta”, una frase che sentiamo spesso e che sembra essere quasi scontata e banale, eppure molte volte gli adulti se ne dimenticano e quando si trovano a dover decidere se raccontare o meno ad un bambino ciò che sta accadendo realmente, scelgono di non farlo.
La valenza del linguaggio non verbale nella comunicazione con i bambini
Proprio pensando ai bambini mi torna alla mente uno degli assiomi della comunicazione definiti da Paul Watzlawich e degli altri studiosi della scuola di Palo Alto (California), che dice “La comunicazione può essere di due tipi: analogica (non verbale) e digitale (verbale).
Il linguaggio verbale è quello formato dalle parole, quello non verbale è il linguaggio del nostro corpo, il più potente, quello che esce dal nostro controllo come la postura, i gesti, l’espressione del viso, le inflessioni della voce, e qualsiasi altra espressione che il nostro corpo riesca a comunicare senza l’utilizzo delle parole.
Emozioni e linguaggio non verbale
I bambini riescono a comprendere molto più di quanto pensiamo e molto più di un adulto quando in gioco ci sono le emozioni ed il linguaggio non verbale.
Come si spiega questa loro predisposizione? Il nostro cervello è diviso in due emisferi: il destro ed il sinistro, ognuno con funzioni specifiche. L’emisfero sinistro è quello responsabile del linguaggio, analizza e decodifica le parole, si concentra su ciò che viene detto, il destro si focalizza maggiormente sull’elaborazione dei dati di contesto cioè gli elementi di sfondo, i toni, le emozioni, ed è proprio questa parte del cervello che si sviluppa prima nei bambini e che fornisce loro i riferimenti più importanti per comprendere ed analizzare cosa sta accadendo.
Fin da piccolissimo, il bambino affida la sua percezione del mondo non al significato delle parole che gli vengono dette, ma allo stile, al modo con cui gli adulti si relazionano con lui e rispondono ai suoi bisogni.
L’”IO” del bambino è fragile ed ha bisogno di protezione da parte delle figure di riferimento, figure autorevoli che vengono prese come modelli di vita e che il bambino stesso non metterebbe mai in discussione o penserebbe che gli possano mentire.
L’importanza di essere sinceri
I bambini sono spesso considerati non competenti nel comprendere pensieri astratti più generali che riguardano relazioni e difficoltà tra gli adulti e quindi si sceglie di dire loro nulla al riguardo o fare una lettura eccessivamente bonificata e distorta di ciò che accade, con l’intento di proteggerli.
In molti casi decidiamo di non coinvolgerli perché pensiamo che non siano in grado di comprendere o perché pensiamo che l’evento doloroso non li riguardi, siamo convinti che solo la consapevolezza di un adulto o di un adolescente maturo meriti un’attenta comunicazione delle “bed news”.
In realtà anche di fronte ad un bambino le emozioni negative non vanno nascoste o minimizzate, fanno parte della vita, è bene parlarne, riconoscerle e gestirle, dar loro un significato e trasmettere ai bambini il messaggio che è possibile parlare di tutto anche di cose spiacevoli.
Emotività negativa
Non “parlare” di certe sofferenza non significa non “comunicarle” , le nostre emozioni verranno percepite dal bambino come un’emotività negativa nei genitori o nel suo contesto di vita che non riuscirà a comprendere Non ricevendo spiegazioni da parte degli adulti, il bambino tenderà a cercare una risposta utilizzando le capacità e gli strumenti in suo possesso in linea con il momento evolutivo che sta vivendo e, il più delle volte, la storia che il bambino costruisce esita in una risposta auto riferita con la tendenza a colpevolizzarsi.
Mentire ad un bambino può voler dire minare la sua autostima, il suo senso di sicurezza perché, se le persone alle quali affida la sua vita dicono delle bugie, il piccolo può sentirsi non meritevole del loro amore. Così quello che voleva essere l’intento benevolo da parte dei genitori di proteggere il proprio figlio potrebbe avere conseguenze negative di varia intensità a seconda dell’evento vissuto.
Da mie esperienze professionali
Nella mia esperienza professionale ho incontrato coppie di genitori che si sono trovate nella necessità di dover decidere se comunicare o non comunicare eventi spiacevoli ai figli con l’intento di proteggerli. Vi racconto due storie esemplificative.
Caso 1 Comunicazione distorta/edulcorata
I genitori di D., un bambino di 3 anni e mezzo, gli dicono che l’indomani sarebbero andati tutti insieme a salutare la nonna che partiva per il mare, in realtà la signora stava per essere ricoverata in ospedale per subire un delicato intervento. Il giorno dopo l’intera famiglia si reca a casa dei nonni e, già in quell’occasione, D. nota che qualcosa non va vedendo che la mamma ha le lacrime agli occhi e chiede “mamma perché piangi? La nonna va al mare”, ma il bambino non ottiene risposta.
L’intervento va bene e dopo un paio di settimane la nonna torna a casa. I genitori comunicano la bella notizia a D. ed il giorno dopo vanno a trovarla. Appena il bambino vede la nonna, si immobilizza e la fissa: Sollecitato dai genitori a spiegare il suo comportamento dopo un po’ D. chiede “perché la nonna è bianca? Perché ha i lividi e i cerotti sulle mani?”. I genitori rispondono che essendo quasi autunno non c’era il sole ed eludono il discorso dei lividi e dei cerotti. Il bambino. sembra accontentarsi di quelle spiegazioni.
D. frequenta la scuola materna del piccolo paese in cui abita dove “tutti sanno tutto di tutti” Qualche giorno dopo, mentre si trova nel salone della scuola insieme a tutti i bambini, D. racconta che sua nonna è da poco tornata dal mare. Un bambino più grande che lo ascolta gli dice “Non è vero, mia mamma mi ha detto che tua nonna è stata in ospedale perché è malata”. D. scoppia in un pianto inconsolabile.
Quei genitori che volevano risparmiare al proprio figlio un evento spiacevole l’hanno di fatto lasciato solo ad affrontare la realtà delegando ad altri il compito di informarlo realisticamente su ciò che stava accadendo, minando anche la sua autostima e la fiducia riposta nelle sue figure di riferimento.
Caso 2 – Omessa comunicazione
- è una bambina di 2 anni e mezzo che frequenta l’asilo nido.
- che di solito si mostra serena, socievole, ma da un po’ di tempo sembra arrabbiata e litiga con gli altri bambini senza apparenti motivi e senza risparmiare loro morsi, graffi e tirate di capelli.
Dopo un periodo di osservazioni e senza cogliere, nel contesto nido, particolari situazioni che avrebbero potuto destabilizzarla, vengono contattati i genitori per un confronto, alfine di capire con loro quale possa essere la causa di quel cambiamento in G.
Durante l’incontro sembra non emergere nulla di particolare, ma alla fine mentre i genitori ci stanno salutando la mamma dice “Ah noi ci stiamo separando, ma G. non sa nulla perché è troppo piccola e poi noi in casa non ci parliamo e non litighiamo, lui (riferito al marito) sta per uscire di casa e tornerà dai suoi”. Interviene poi il padre di G. che dice “A G. diciamo che il papà è via per lavoro pensiamo di dirle la verità quando andrà alla scuola materna”.
Anche questi genitori hanno agito pensando di tutelare la loro figlia, che peraltro aveva già colto che qualcosa non andava, ma i bambini vedono cosa accade senza capire. Far finta che tutto vada bene quando invece i genitori non si scambiano una parola, un gesto affettuoso e dormono in stanze separate, fa sì che il bambino. rimanga, senza spiegazioni., senza la possibilità di comprendere quello che accade nel mondo interiore delle sue emozioni. Questi atteggiamenti portano il bambino a farsi mille domande e, se nessuno gli parla, le risposte le dovrà trovare da solo rischiando di vivere nel dubbio e nell’angoscia.
In generale, omettere o falsare una comunicazione ai bambini può alterare la percezione della realtà, limitare l’uso del pensiero e, di conseguenza, la possibilità di trovare strategie di coping funzionali per far fronte a situazioni difficili.
Non bisogna avere “paura” di parlare con i bambini perché sono persone competenti e piene di risorse, più di quanto si pensi e con loro si possono affrontare anche le situazioni difficili. Certo bisogna trovare le parole giuste dette da un adulto in grado di gestire la propria emotività e, tante volte, non è facile perché anche gli adulti si trovano intrappolati in un groviglio di emozioni negative.
Uno strumento efficace
Il libro è uno strumento efficace, soprattutto con i piccoli, perché è ricco di immagini che i bambini sono in grado di cogliere più facilmente (linguaggio non verbale) e perché permette di creare quel contatto emotivo col loro dove è possibile trovare il modo per rassicurarli rispetto a ciò che stanno vivendo e, allo stesso tempo, aiutano l’adulto che, anch’egli in difficoltà, può utilizzare le parole del libro qualora non sia in grado, in quel momento, di usare le proprie.
Articolo della Dott.ssa Maria Fusetti – Mediatrice Familiare sistemica A.I.M.S., Counselor Sistemico-Relazionale dell’Età Evolutiva
Bibliografia
Siegel D. J. “La mente relazionale” Neurobiologia dell’esperienza interpersonale, Raffaello Cortina Editore, 2013
Pellai A., Tamborini B. “Tabù” Strade Blu Mondadori, 2020
F. Vadilonga., Lombardi S., Petoletti S., Visconti A., Il trattamento psicologico: ricostruire e narrare la storia per sostenere l’elaborazione dei traumi di caregiver e bambini. Minori Giustizia, 1 – 2012. Franco Angeli.
Counseling di accompagnamento alla genitorialità
E’ un servizio dedicato a persone che vivono delle fatiche nello svolgere il loro ruolo genitoriale. Tale intervento mira a migliorare la relazione con i figli, gli stili educativi e comunicativi in famiglia, attingendo alle proprie risorse e rafforzando la naturale competenza genitoriale.
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