Articolo pubblicato su Temposport di gennaio 2021

La psicologia dello sport offre spunti interessanti per capire come la mente umana possa adattarsi allo stress. Concetti quali carico di lavoro, flessibilità, resilienza, cambiamento, possono essere usati come esempi da riportare nella vita di tutti i giorni. Ma lo sportivo è anche e soprattutto una persona che risente del suo equilibrio interno su cui, soprattutto in alcuni sport, deve lavorare.

Sembra che, nei motori di ricerca dell’ultimo anno, una delle parole più ricercate sia stata resilienza. Questo termine che deriva dalle caratteristiche di alcuni materiali che riescono a sopportare carichi senza deformarsi, viene ormai utilizzato sempre più anche in psicologia.

Questa proprietà fisica, definita come la «capacità di un materiale di assorbire energia elasticamente quando sottoposto a un carico» (Treccani), può essere dunque applicata a pieno titolo tra le caratteristiche che ogni sportivo dovrebbe sviluppare, per poter dare il meglio di sé, soprattutto negli sport individuali.

 

Supporto agli atleti con la psicologia dello sport

È molto interessante per lo psicologo seguire e supportare atleti che devono lavorare su questo aspetto, che rimanda inevitabilmente a questioni, nodi, conflitti spesso irrisolti del proprio psichismo. Anzi direi che sono proprio questi temi che fanno la vera differenza.

Ma come vive il proprio mondo interno un’atleta? Come può lavorare per esempio sulla propria componente impulsiva, che spesso vanifica allenamenti e giornate di lavoro intenso? Quale è il percorso migliore da seguire? Nella letteratura cosiddetta di settore, decisamente divulgativa, troviamo nelle biografie scritte dagli stessi atleti, molti spunti per rispondere a queste domande.

Resilienza e sport

Tra i diversi sport che ci possono far capire la resilienza c’è il tennis, già a partire dal suo strumento principale: la racchetta. La racchetta da tennis è un esempio perfetto di resilienza: le corde si deformano ma non si spezzano, anzi, restituiscono il colpo con più̀ energia. Ma poi evidentemente. Dietro a quella racchetta, c’è l’atleta che porta dentro di sé un mondo che vale la pena conoscere ed esplorare attentamente.

Ci aiuta in questo compito la biografia uscita da poco di Francesca Schiavone dal titolo: “La mia rinascita” (Mondadori).

Francesca Schiavone, che vinse al Roland Garros nel 2010, è stata la prima italiana (e la terza in assoluto, dopo Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta) ad aver vinto un torneo del Grande Slam nel singolare, giungendo alla finale in quel torneo anche l’anno successivo. Nel 2011 è diventata la numero quattro del ranking mondiale, posizione più alta mai raggiunta da una tennista italiana. In carriera ha vinto in totale otto tornei Wta in singolare e sette in doppio, battendo, durante il corso degli anni, giocatrici di alto livello come Serena Williams, Justine Henin, Amélie Mauresmo (tutte ex numero uno del ranking). Si è aggiudicata per tre volte la Fed Cup con l’Italia nel 2006, 2009 e 2010.

Psicologia dello sport: parlare di sé

Parlare di sé stessi, soprattutto se si è schivi e riservati, non è facile. È forse per questo che si apprezzano maggiormente coloro i quali hanno il coraggio di raccontare le loro più intime sensazioni, inciampi, delusioni, soddisfazioni per quello che sono. A volte ai nostri occhi, ci possono sembrare superficiali, in altre “grezze”, in altre ancora incomprensibili. Resta il fatto che ci permettono di comprendere meglio un mondo, quello dello sport, che troppo spesso “usa” il campione e lo sorregge, fintanto che è vincente, per poi dimenticarlo, appena ha qualche problema.

Non è facile dunque riuscire ad emergere e soprattutto rimanere a lungo tra i primi al mondo. Il tennis impone al suo circo (sportivo, mediatico, organizzativo) ritmi e tempi che non lasciano molto tempo per riflettere, in una sorta di “pronti via” che ti porta in giro per il mondo in un susseguirsi di tornei che devi fare, se vuoi scalare la classifica. Un tour de force che prima o poi paghi, perché il tuo sistema psicofisico e lo stress che ne consegue, fa sì che ad un certo punto non ce la fai più.

Così oggi non puoi più permetterti a certi livelli di non avere altre figure professionali che formano un gruppo, il tuo team. Molto spesso queste figure, a seconda del ruolo e della funzione che svolgono, si trovano a fare da supporto, da guida, da spartiacque, da riferimento certo, soprattutto nei momenti critici, sia legati alla preparazione, che ad eventuali momenti di arresto.

Stress nell’ambito sportivo

Si ritiene che la resilienza sia legata per una certa quota a tratti della personalità, quali l’autostima o l’ottimismo, e in parte al cogliere la sfida che è racchiusa in una situazione di stress. Ma cos’è lo stress?

Lo stress è una reazione di adattamento che dipende molto dal modo in cui vediamo gli eventi. Con un atteggiamento resiliente possiamo gestirlo, utilizzando le nostre risorse in modo utile per noi stessi e chi ci circonda. Per esempio, la casa può essere vista come rifugio anziché come prigione, il tempo come ritrovato anziché perso. Qui sta forse la chiave del cambiamento, vale a dire riuscire a dare un’altra valutazione e quindi ad utilizzare nuove strategie e “schemi” per portare a casa il risultato.

Ma quando devi rispondere ad un servizio con una pallina che ti arriva a 200 km. all’ora in pochi decimi di secondo, devi esserci, perché hai mente e corpo lì presenti e perennemente in allerta. Così ti ritrovi ad entrare in una centrifuga dove ti manca il tempo per pensare ad altro. Questi sportivi più di altri, sanno cosa significa fermarsi per esempio per un infortunio, uscire per un periodo più o meno lungo di tempo da quel “giro” e quanto tempo ci devi poi mettere per rientrare.

Sanno anche quanto sia problematico fermarsi ed uscire scegliendo ed accettando che dietro di te c’è un’altra generazione che spinge per sostituirti. Ma c’è un altro condizionamento che ti porti dietro: quello della vita di tutti i giorni. Se sei abituato per anni a convivere con schemi veloci, quando rientri nella vita normale, arrivi a non tollerare i tempi degli altri, i loro ritardi che diventano per te insopportabili.

Così un idraulico che chiami per una banale perdita dello sciacquone, ti fa reagire in modo spropositato, facendoti rendere conto quanto per te sarà difficile rientrare nel mondo reale. È come se ti dovessi inventare e costruire un’altra vita e non è facile. Ti rendi conto che per rimanere lo sportivo che eri ad alti livelli, hai dovuto, senza accorgertene fino in fondo, dissociarti da un punto di vista mentale.

Meccanismi di difesa e psicologia dello sport

Ora sappiamo che la dissociazione è un meccanismo di difesa estremamente potente che troviamo come automatismo, soprattutto in persone che hanno subito dei gravi traumi psicologici. Evidentemente ci sono anche dissociazioni non patologiche ma estremamente efficaci e funzionali (pensiamo per esempio ad un chirurgo che, nell’operare un paziente, deve concentrarsi a fare bene solo quello), che applicate in modo mirate come nello sport professionistico possono portare a risultati davvero importanti. Succede però, che al rientro nella vita normale, chi ha vissuto dentro una centrifuga, si possa trovare davvero in difficoltà.

La sensazione è quella di non avere la terra sotto i piedi, di esserti nel frattempo perso un po’ della tua vita personale, relazionale, di sentire che ti manca qualcosa che fai fatica a definire. È come se alcune tue parti si fossero congelate e non si fossero più evolute, determinando un senso di vuoto che fai fatica a colmare perché non hai neanche gli strumenti per poterlo fare.

Sport e resilienza

Psicologia dello sport

Oggi da più parti lo sport viene visto come una risorsa che l’individuo può darsi attraverso la sua pratica. La domanda che spesso viene fatta è: quanto chi fa o ha fatto sport riesce a stare meglio, a sopportare più adeguatamente le situazioni contrarie che la vita ci mette davanti?

Queste possono essere un infortunio, un lutto importante, una grave malattia. Ecco rispuntare ancora la resilienza. In teoria l’insegnamento che lo sport ti fa acquisire è proprio questa abilità, che possiamo riportare anche in altri ambiti di vita. Ma sappiamo quanto non sia determinante solo il fattore fisico, ma soprattutto quello mentale che presuppone un lavoro su sé stessi mirato e finalizzato a conoscere, oltre che i propri conflitti irrisolti, anche i talenti e le qualità da coltivare e fare crescere. Chi subisce un cambiamento repentino, come azzerare le abitudini di vita precedenti, può andare incontro ad una vulnerabilità sempre maggiore, oppure sviluppare abilità più raffinate per trovare nuove prospettive di cambiamento efficace.

Questa potrebbe essere l’epoca in cui trovare visioni per un futuro migliore. È allora resiliente la persona che utilizza i giorni interrotti dal Covid per riuscire a ipotizzare forme diverse di lavoro, di tempo libero, di produzione, di comunicazione o altro ancora. Ci si aspetta dunque una flessibilità ed una capacità relativa a rendere la società più vivibile, che faccia leva su un nuovo modo di stare insieme e scoprire nuove forme di connivenza collettiva. In questo forse gli sportivi, soprattutto quelli amatoriali, possono dare un contributo fondamentale alla costruzione di una società più a misura d’uomo e rispettosa dell’ambiente.

Articolo del dott. Andrea Ferella Psicologo -Psicoterapeuta

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