Di Andrea Ferella
In questo articolo apparso su Temposport di gennaio 2020, attraverso la rilettura del mito di Atalanta che ne fa Ovidio, si riflette sullo sport al femminile da un punto di vista psicologico.
Leggere la mitologia ci aiuta a capire la psiche delle persone. Possiamo dire che la nostra cultura è intrisa di storie, di leggende, di miti che rimandano a contenuti e tonalità che non possono esprimersi se non in quei modi. In essi poi, troviamo molte analogie, consuetudini, oggi diremmo leitmotiv che si ripetono.
Uno di questi riguarda il tema delle origini ( chi sono i miei genitori) e delle conseguenti vicissitudini che ognuno deve affrontare e superare, più o meno compiutamente, per essere riconosciuto. Pensiamo ad esempio a Romolo e Remo, entrambi abbandonati al loro destino, trasportati dal fiume in piena su una cesta e nutriti da una lupa per poi venire adottati da un pastore e sua moglie.
Ma vi è un’altra figura della mitologia greca, ripresa poi da Ovidio, con origini simili e che ci interessa particolarmente: quella di Atalanta che da allora è diventata il simbolo della corsa.
La leggenda narra che fu partorita da Climene, ma poiché il padre, che era il re dell’Arcadia, avrebbe voluto un maschio, la bimba fu abbandonata su un monte. Ma la dea Artemide/Diana (dea della caccia), vedendo la scena, decise di mandare un’orsa che si prese cura della bambina. Qualche tempo dopo Atalanta venne trovata ed allevata da alcuni cacciatori. Fu così che divenne ben presto anch’essa, una vera e propria cacciatrice, facendosi notare per le sue abilità in diverse prove tra cui la cattura di un enorme cinghiale (calidonio) che incuteva panico e terrore, riuscendo a colpirlo con la sua freccia lei, unica donna, in un gruppo di uomini. Tanto fu il successo per questo gesto che anche il padre di Atalanta lo venne a sapere riconoscendola come figlia e invitandola con fermezza a sposarsi.
Ma la donna sapeva, poiché glielo aveva rivelato un oracolo, che se si fosse sposata con qualcuno, avrebbe perso tutte le sue abilità, tra cui spiccava la sua imbattibilità nella corsa. Così rispondendo al padre disse che sarebbe convolata a nozze, solo con chi l’avesse battuta durante una gara di corsa, ma, in caso contrario, lo sfidante sarebbe stato ucciso, cosa che avvenne per molti aspiranti. Ad un certo punto però arriva un tale Ippomene, che, assistendo alle sfide dei pretendenti e alla loro fine, non riusciva a darsi una risposta del perché si potesse arrivare a tanto, finché non vide Atalanta e ne rimase folgorato.
“Ut faciem et posito corpus velamine vidit, obstipuit”
(Ma quando lei si sfilò i veli e mostrò’ il suo corpo, rimase sbalordito).
La sua bellezza andava oltre potremmo dire, lo travalicava. Ippomene allora, chiese aiuto alla dea dell’amore Afrodite, che gli affidò tre mele d’oro del Giardino delle Esperidi da lasciar scivolare durante la corsa. Orbene, dato che è vero che Atalanta aveva tutte le virtù di uomo ma nell’animo era ‘donna’, ogni volta che vedeva un pomo, attratta, si fermava a raccoglierlo, perdendo così terreno e decretando, infine, la vittoria di Ippomene. Così i due convolarono a nozze ma per i greci, e per i latini poi (tanto che del mito ci parla il nostro Ovidio nelle “Metamorfosi”), Atalanta rimase per sempre simbolo della corsa.
Lo sport al femminile
Il mito di Atalanta si presta a molte interpretazioni, anche perché gli spunti che questa storia ci da’, sono diversi. Ad una prima lettura un po’ misogina e maschilista, che era tipica delle culture antiche, potremmo dire che Atalanta rifiuta il modello femminile di asservimento, inseguendo un ideale maschile, non sapendo che può coniugare il maschile col femminile e “diventare” donna.
Qui, potremmo dire meglio, che la soggettivazione, cioè divenire pienamente ciò che si è e avere un’esperienza interna coerente, non riesce del tutto. Come mai ? Forse perché inconsciamente ha risentito del desiderio del padre che voleva un figlio maschio? Forse perché ha cercato quel padre che le è sempre mancato per strutturarsi completamente? Atalanta conosce l’amore? Lo teme?
Ma accanto a questi temi, ve ne sono altri, molto attuali, che riguardano i vissuti delle atlete odierne. Chi conosce il loro mondo, l’impegno richiesto per raggiungere risultati, lo stress che bisogna sopportare per tagliare certi traguardi, può farsi un’idea delle caratteristiche e delle specificità femminili che devono essere tenute in grande considerazione soprattutto in chi segue da vicino queste atlete ( allenatori, preparatori atletici, tecnici e federazioni ).
La cosa non riguarda soltanto gli aspetti fisici della preparazione, ma anche quelli legati alla tenuta psichica, allo sviluppo di una visione complessiva, di una strategia vincente, di una tecnica dell’allenamento specifica.
Parlando con chi segue da anni atlete impegnate in sport legati all’atletica leggera e al ciclismo ( corsa, maratona, triathlon ecc.), si evince come la differenza di genere sia una cosa da tenere in grande considerazione.
Non è possibile pensare come nel mito di Atalanta che l’atleta sia un uomo in un corpo di una donna e trattarla con le stesse modalità.
Una atleta per esempio, per poter dare il meglio di sé, ha bisogno di parlare di più, di conoscere, di fidarsi insomma del proprio entourage ed in particolare dei propri tecnici.
E a proposito delle mele d’oro, potremmo inquadrarle, non tanto come un aspetto legato alla vanità femminile, ma con il fatto che la nostra mente venga facilmente distratta dalla tendenza a preoccuparsi, a rimpiangere, a confondersi. Sono le interferenze che la stessa atleta subisce (come ad es. il giudizio, lo stress, l’eccessiva autocritica, la paura di sbagliare, o l’essere osservate, ecc.) che condizionano il risultato della prestazione.
In questo senso chi segue le atlete dovrebbe avere più dimestichezza e conoscenza di come funziona la parte maschile e femminile della mente, che tutti gli esseri umani posseggono (siano essi uomini o donne).
L’atleta ottiene la sua performance ottimale quando riesce a ridurre al minimo gli ostacoli personali interni e sviluppa la fiducia nelle proprie capacità di apprendere in modo naturale dall’esperienza diretta. Il mondo dello sport, come del resto ha già iniziato a fare, deve aprirsi sempre più ed affinare le proprie competenze nei confronti del mondo sportivo femminile.
“L’avversario che c’è nella nostra mente, è molto più forte dell’avversario che c’è dall’altra parte”. (W. Thimothy Gallwey)
Bibliografia
Gallwey Timothy W. Horton John Hanzelik Edward “Il gioco interiore nello stress. Esprimi il tuo potenziale e vinci le sfide della vita” Edizioni Ultra, 2016
Ovidio “Le Metamorfosi” Ed Einaudi 2015