DI ANDREA FERELLA
foto in copertina di Valentina Grassi – rassegna “Donne al Muro”
La violenza domestica è il comportamento abusante di uno o entrambi i compagni in una relazione intima di coppia. Poco importa se nel matrimonio o nella convivenza. Il termine è solitamente utilizzato per indicare la violenza tra partner, ma viene utilizzato talvolta per riferirsi alla violenza nei confronti dei figli, o più in generale la violenza all’interno della famiglia. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità considera quattro forme di violenza tra partner: atti di violenza fisica, violenza sessuale, violenza psicologica e comportamenti controllanti.
Quasi tutti i giorni, purtroppo, sentiamo notizie dove spesso è proprio l’accadere di questi fatti che ci racconta quanto, un rapporto magari nato sotto i più buoni auspici, si sia trasformato col tempo in una relazione malata. Sappiamo anche però, che l’informazione, senza un adeguato approfondimento dei motivi per cui si è arrivati ad una escalation violenta, rischia di essere appiattente e pericolosamente fuorviante.
La prima cosa di cui rendersi conto dovrebbe essere quella di capire se il/la nostra partner abbia qualche tratto problematico, o invece, soffra di un franco disturbo di personalità. Inoltre abbastanza frequentemente, ritroviamo accanto ad una sottovalutazione degli episodi di violenza, da parte della vittima, anche una sua “tipica” modalità sottomessa, che crea, di fatto, l’instaurarsi di una relazione problematica che però non viene adeguatamente percepita. Avviene infatti che col tempo si accettino modi di stare insieme considerati “normali”, che invece già da molto hanno superato la soglia di guardia.
Quando una coppia viene in consultazione per descrivere cosa sta accadendo e per valutare l’opportunità di un eventuale percorso terapeutico, ci accorgiamo fin da subito, dello stile relazionale spesso disfunzionale che è presente tra i due partner. Spesso il clima emotivo è talmente incandescente, che i terapeuti si domandano come non possa essere successo qualcosa di ancor più grave tra loro, oppure, quanto uno stile così teso e irrispettoso possa influenzare negativamente la crescita dei loro figli, se presenti.
Recentemente in una lettera indirizzata ai propri figli, una madre di due ragazzi ha scritto, dopo anni di violenza domestica col marito : “Ho provato a proteggere vostro padre, non l’ho denunciato, non l’ho lasciato; era un modo di salvare voi, farvi crescere in una famiglia intera. Ma mi sbagliavo. “
Qui parliamo di una situazione che purtroppo si è espansa negli anni, dove le variabili in gioco sono moltissime, tra cui, per esempio alcuni tratti personologici di chi ha subito negli anni questa molestia. Tra questi, la cosiddetta sindrome da “crocerossina”, che nella interpretazione rigida e patologizzante della promessa matrimoniale della “buona e cattiva sorte”, di fatto crea e legittima situazioni di abuso psicofisico davvero inquietanti ( bisognerebbe parlare di psicopatologia della vita coniugale o familiare), oppure quella ostinazione al tenere la posizione dell’ ‘Io ti salverò” da cui sfocia quell’incastro, quell’ ingabbiamento, come nella lettera citata, che impiega troppo tempo per essere elaborato ed abbandonato
Sono ancora troppe, soprattutto le donne, che si ritrovano in posizioni come queste.
Non è certamente ne semplice, ne facile uscirne. Ma questo non deve per nulla rappresentare uno scoglio insuperabile, un alibi, o peggio ancora, una rassegnazione ad una situazione perigliosa.
Sarebbe opportuno allora iniziare a parlare di prevenzione di tutte le forme di violenza domestica, subdole o palesi che siano, in modo da evitare che si evolvano in atti e agiti,che troppo spesso, ci raccontano di situazioni andate fuori controllo.
Prevenzione che dovrebbe avere come obiettivo quello di fornire degli strumenti per arrivare a possedere un minimo di consapevolezza e di discernimento tra quello che può essere un tratto o un disturbo di personalità, fino a fornire una informazione inequivocabile sulle conseguenze che le violenze domestiche possono determinare, se protratte per lungo tempo. In questo senso basti ricordare quanto i cosiddetti traumi relazionali, determinino negli adulti che hanno vissuto la loro giovinezza accanto a genitori disturbati, problemi emotivi e sintomatologici importanti.
Parlare oggi di intervento psicologico sulla coppia, significa per esempio, attribuire una valenza importante alle consultazioni e alle terapie vere e proprie fatte insieme allo psicologo. Spesso incontri finalizzati a far emergere vissuti personali non sufficientemente elaborati, da parte dei partner, può aprire ad una evoluzione significativa della relazione, con il superamento di quegli ostacoli che tendono a frenare qualsiasi evoluzione.
Ognuno di noi, per carità, non è perfetto, anzi. Il punto semmai è quello di capire quanto ne siamo consapevoli, quanto riusciamo a lavorarci e quanto invece dovremmo intervenire su noi stessi o come coppia. Certo, non stiamo dicendo con ciò, che tutti dovremmo intraprendere una terapia quanto meno conoscitiva dei nostri aspetti più oscuri ( tutti li abbiamo, solo che tendiamo a rimuoverli, per poi magari ritrovarceli dopo uno stress intenso od un evento di vita difficile ) , ma non possiamo pretendere o imporre che il/ la nostra partner ci possa fare da contenitore, o parafulmine per non dire peggio.
Se per esempio riscontriamo agiti che denotano un avvicinamento a disturbi personologici importanti, dovremmo attivarci fin da subito. Ma se il/la nostro partner non ne ha consapevolezza, dobbiamo essere noi a prendere in mano la situazione e chiedere una consultazione ad un terapeuta specializzato, quantomeno per capire cosa fare.
Se invece si procrastina, si rimanda, sperando che “magicamente” il tempo aggiusti tutto, provocheremmo di fatto una patologizzazione di un rapporto che con buone possibilità porterà ad una escalation con agiti che potrebbero essere ancor più problematici.
Studi clinici hanno evidenziato, infine, come strategie efficaci per contrastare la violenza domestica siano la ricerca di un intervento esterno, il supporto emotivo delle persone significative e come extrema ratio, il rivolgersi a un legale.
Bibliografia
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